Oggi non va tutto bene

Arriva per tutti il momento del black out.
L’interruzione delle trasmissioni. La festa è finita.
Se fino a ieri dicevo “è dura, ma ce la faccio. Va tutto bene.”
Oggi non va più tutto bene.

Fino all’altro giorno correvamo come trottole, tutto sommato felici, in mezzo ai giocattoli. Oggi cos’è successo? Dove sono finiti quei pensieri automotivanti, così pieni di ragionevolezza?

Mi piace la mia vita, mi piace aspettare la sera per mettermi sul divano a guardare un film insieme

Non sopporto la mia responsabile di ufficio ma è un’azienda importante, mi fa curriculum e tra qualche anno cercherò di meglio

Vendere contratti al telefono a poveri cristi mi fa stare male, ma alla mia età cos’altro posso trovare?

Mi pesa un po’ dipendere dal/dalla mio/a ex ma quando ci sono i figli non si hanno tante scelte

Sono anni che sogno di trasferirmi in mezzo alla natura, mi sa che dovrò rinunciarci fino alla pensione”

Queste e mille altre frasi del genere fino a ieri bastavano a darci la carica per un altro giro di trottola e tenere duro ancora un po’, un altro po’.
Oggi non bastano più.

Non so cosa è cambiato,
ma oggi non voglio più tenere duro.

Oggi sono in crisi.


La crisi viene a fermare la trottola.

Negli anni ’90 andavo a scuola e sentivo dire che c’era crisi.
La vivevamo come una sfiga che è capitata, tipo annata di carestia. Alcuni si lamentavano, altri si consolavano, tutti si sperava in Dio.

La crisi come un temporaneo calo di tensione, di energia: meno soldi, meno ideali, meno entusiasmo, meno fiducia. O la crisi come una disgrazia, un cataclisma e noi alberi inermi sperando di resistere alla prossima folata di vento.
In ogni caso, tra senso di impotenza e spavento, speranza e terrore, la crisi era per lo più qualcosa tra l’ingiustizia e l’inspiegabile malasorte.
Nessuno si è mai sognato di essere grato alla crisi. I più filosofi di noi davano tutta la colpa ai costumi degenerati o al massimo cercavano qualche lato positivo nella sventura.

Non è questo per me la crisi ora.
Lei è qui perché ne avevo bisogno. Viene a fermare la trottola così che possa fermarmi un attimo, riconsiderare dove mi trovo.

Se andiamo più in profondità, dietro la CRISI c’è un amorevole messaggero che chiede CAMBIAMENTO.
La crisi viene a dire basta, non possiamo più continuare così.
Pone un’interruzione rispetto a un flusso.
Un disfunzione segnala la necessità di fermarci.

La crisi viene a dire… basta.

La crisi è uno STOP personale che non ci permette più di continuare a fare ciò che stavamo facendo. Non è mai un fenomeno esterno e non è collettivo.
Può manifestarsi come fenomeno esterno, ma alla radice nasce sempre individuale, soggettivo, e viene a interrompere un meccanismo di conferma tra la mia idea e la realtà.
La realtà non conferma più un’idea per me importante, l’idea che sono un bravo genitore per esempio. Così sgretola la mia certezza di essere quell’idea, e va in crisi l’identità.
Questo è importante averlo chiaro.

Secondo: la crisi è generata da noi, è un nostro modo di reagire all’esterno, di interpretare una realtà che non si adatta più alle nostre idee. Non esiste fuori di noi. Là fuori non si è fermato nulla, è sempre un continuo cambiamento di cose.
Terzo: se la crisi chiede cambiamento, aggiornamento, la mancanza di un adeguato cambiamento (di idee e comportamento) prolunga la crisi.

Quali situazioni tipicamente scatenano una crisi?
Un lutto importante, la perdita di una persona vicina.
Una sconfitta sul piano lavorativo, un licenziamento, un fallimento.
Una sconfitta come genitore: un figlio che si droga, che delinque, che fa una scelta contraria ai nostri valori.
Una sconfitta come uomo o come donna, l’essere rifiutato/abbandonato/tradito dal compagno/a.
E’ lì che siamo costretti a fermarci.

Non è una fermata programmata, è un tamponamento, un incidente.

La situazione esterna manda in tilt l’idea di noi stessi, l’identità, perché non ci permette più di alimentare quell’identità.

A quel punto ognuno reagisce secondo proprie capacità e caratteristiche, come materiali differenti reagiscono diversamente a un urto.
Si va dal “muro di gomma”, ovvero negare totalmente la realtà della disfunzione, incolpando chiunque pur di non sentirsi responsabile e di non mettersi minimamente in discussione. Fino alla fragilità estrema di chi rinuncia alla vita nel momento in cui l’identità viene colpita, affondando come una nave silurata.

Il muro di gomma è lo zero assoluto, l’assenza di cambiamento.
La stasi eterna. Oso pensare che non esista nessuno totalmente statico. Dallo zero in su c’è tutta la gamma dei colori. Potremmo avere l’elasticità di aprire e chiudere frequentemente crisi di modesta entità.
Oppure essere di quelli che lo fanno raramente e quando accade ci si aprono sotto le porte dell’inferno.
O in altre mille modalità.

Per me, quando sento un senso di oppressione, di limitazione, insoddisfazione… quello è il campanello di una crisi. Un tempo, prima che mi venisse un dubbio dovevano suonare le campane per giorni.
Ora ho maggiore disponibilità a fermarmi, stare nella scomodità di non sapere, c’è un’aumentata disponibilità a cambiare idea, a essere contraddetto senza mettere in crisi l’intero senso del valore di me.

Vorrei dire che preferisco crisi brevi e frequenti, ma non siamo noi a scegliere quanto profonda è la buca in cui cadere. Di certo non lo sceglie la nostra coscienza.

Non siamo noi a scegliere quanto profonda sarà la buca in cui cadere

Quando la coscienza se ne rende conto siamo già caduti. A quel punto possiamo evitare di guardare la buca e fingere che non sia successo, oppure entrarci con tutte le scarpe.
Possiamo immediatamente urlare a squarciagola perché qualcuno ci tiri fuori, o in silenzio cominciare ad accettare di essere crollati e osservare dove siamo finiti.
Cosa abbiamo urtato che ci ha sbalzato fuori strada?
Come abbiamo potuto non vedere una buca così grande?

Le domande… le domande aprono la mente.
Quando ci permettiamo di avere domande, invece che solo risposte, la coscienza si apre e aumenta la sua estensione.

La crisi viene a portare un regalo, ma non ce lo fa aprire finché non abbiamo risolto l’indovinello.
Un indovinello facilissimo, ma difficile per noi in quel momento, perché per risolverlo è necessario rinunciare a qualcosa di importante. Rinunciare a un pezzo di identità, al progetto di famiglia che avevamo in mente, alla pianificazione della vecchiaia, qualcosa di grosso.

La mente prova ogni strada provando a evitare quella rinuncia.
Questo talvolta allunga, aggrava, ostacola la crisi.
E’ anche fisiologico che sia così.
Quante persone conosciamo che hanno avuto almeno una grande crisi matrimoniale dove si era squarciato il velo dell’ipocrisia, e che poi lo hanno in fretta ricucito quel velo, perché quello che c’era dietro li ha spaventati troppo e hanno preferito tornare indietro?
Molti e anche noi, apriamo crisi e ci stiamo finché riusciamo, poi ad un certo punto le richiudiamo, anche se non è stato tutto affrontato, perché non si può vivere sempre in crisi. E poi la volta successiva quello che non abbiamo affrontato ce lo ritroviamo tutto lì.
E diciamo “caspita! Lo sapevo!”.
Ma non si può vivere sempre in crisi.
Va bene accettare che sia così.

Io dico che nessuno potrà mai stabilire se abbiamo vissuto una crisi in modo completo o no.

Detto questo, ho conosciuto il modo per me più naturale di uscire da una crisi, quello dell’arresa.
Tentativo dopo tentativo di trovare soluzioni indolori, nel vedere che l’unica via vera per uscire dalla buca è quell’odiosa decisione di rinunciare a qualcosa di molto caro… lentamente l’accettazione dell’inaccettabile si fa strada.
Poi, come quando inizia a scendere la neve, inaspettatamente… l’arresa.
E ogni domanda trova la sua naturale risposta.

Poi, inaspettatamente… l’arresa.
E ogni domanda trova la sua naturale risposta.

Da mesi vivo ripetute cadute, mi rialzo pensando di aver compreso, altro passo, altra caduta.

Tra i numerosi e importanti messaggi ricevuti ce n’è uno che contiene un’indicazione meravigliosa, mai letta in nessun libro che mi ricordi.

Fai solo ciò che è profondamente tuo

“Fai solo ciò che è profondamente tuo.
Quando ti muovi così hai la forza di sostenere le avversità.
Quando senti che ti manca quella forza, non è la tua battaglia. E stai lasciando scoperta la tua battaglia.”

Questo è il messaggio ricevuto, un messaggio potente.
Un messaggio che mi apre ad un rapporto nuovo con la realtà che mi circonda, dischiude spazi di libertà e di possibilità, liberando milioni di farfalle intrappolate in reti inesistenti.
Fa pulizia di mille distrazioni e mantiene ciò che è essenziale: l’essenza contiene il senso di tutto. L’essenza dà senso.
Quando è coperta o disturbata, il senso si perde.
Fai solo ciò che è profondamente tuo mi viene a dire “puoi smettere di fare quello, quell’altro… tutte le cose che non ti riempiono di gioia nel momento in cui le fai.”
Puoi puntare al massimo.
Un messaggio potente e prezioso, arrivato dopo che ho avuto la forza di fermarmi, di dire che “oggi non va tutto bene”.

2 commenti su “Oggi non va tutto bene”

  1. Chiara Maria Magdala

    Leggere questo tuo estratto filosofico mi lascia senza parole …
    ‘Fai solo ciò che è profondamente tuo’ ..
    ora capisco perché da qualche mese a questa parte mi sento alleggerita, rinata, fiduciosa … senza saperlo la mia Anima si è risvegliata mettendo in atto il tuo saggio consiglio.
    Che Gioia pura, Jack, averti incrociato sul mio cammino !

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